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Immagine del redattoredott.ssa Sara Rizzi

La forza della narrazione

Aggiornamento: 22 nov 2020

“L'illusione più pericolosa è quella che esista soltanto un'unica realtà.” - P. Watzlawick



Una caratteristica universale dell’umanità è quella del creare e condividere storie;

Prova a guardarti attorno: forse hai attorno a te libri, dvd o videocassette; guardi film e serie tv, parli delle storie dei tuoi conoscenti con altri conoscenti e in ogni pezzo d’arte che ti circonda è raccontata una storia, in ogni quadro e in ogni canzone. Ogni comunità umana, di ogni epoca e parte del mondo genera storie, miti, ballate, barzellette, fiabe, racconti storici o di fantasia, con una morale o senza morale, a lieto fine, senza lieto fine o a finale aperto. Siamo immersi nelle storie presenti nella nostra quotidianità e se qualcuno ci chiede di presentare noi stessi, molto probabilmente quella che descriveremo sarà la nostra storia.

L’universalità di questa caratteristica tendenza al creare e consumare storie ci fa capire quanto sia parte integrante di noi pensare al mondo e a noi stessi in termini di storie: tutto questo allo scopo non solo di intrattenerci, ma anche di ordinare gli eventi, trovare legami causa-effetto, e soprattutto dare ordine, senso e significato non solo al mondo ambiguo e caotico che ci circonda, ma anche a quello che abbiamo dentro.

Luca è sul tram e nota Marta, sua coetanea. I due sembrano scambiarsi uno sguardo, così Luca le sorride e lei arrossisce. Sembra chiara la catena degli eventi, e con questa il nesso causa effetto: Marta è arrossita non solo dopo che Luca le ha sorriso (nesso temporale) ma anche perché Luca le ha sorriso (nesso causale). Laddove il nesso temporale è evidente, il nesso causale è da noi costruito e proiettato nella narrazione, ed essendo costruito potrebbe anche essere errato. Marta forse è arrossita per lo scambio di sguardi che è avvenuto prima del sorriso, o forse non ha neanche notato Luca ma sta pensando ai fatti suoi. Questo però è per noi spettatori irrilevante, perché abbiamo già costruito la nostra narrazione sensata.

Questa piccola storia è un esempio di come basti una sequenza temporale di eventi per farci immediatamente percepire un nesso causale; la narrazione basata sul nesso causa-effetto (lui le ha sorriso - lei è arrossita) acquisisce un pezzettino di senso, integrandosi poi nella narrazione più ampia (a Luca piace Marta, probabilmente è single, ha interagito per volerla conoscere...). Ma questo ci mette sott’occhio un passaggio fondamentale: siamo noi che generiamo i nessi causa-effetto immaginandoli nel mondo circostante. Il mondo, di per sé, ha solo sequenze di eventi più o meno ravvicinati tra loro, e noi abbiamo accesso al “dopo”, ma non al “perché”.



Per gli scettici: proviamo a pensare a qualcuno con opinioni politiche diametralmente opposte alle nostre. E’ chiaro che abbia una narrazione del mondo e delle dinamiche eco-politiche assolutamente diversa dalla notra. Come descriverebbe il mondo? Con quali nessi causa-effetto? In un certo senso si potrebbe dire che vive in un modo differente da quello in cui viviamo noi. E cosa direbbe di noi, questa persona? Eppure le catene temporali di eventi sono le stesse sotto gli occhi di tutti: ognuno di noi però seleziona gli eventi già compatibili con la narrazione soggettiva, e interpreta i nessi causali in modo coerente con la stessa.

Ma perché facciamo questo?

Perché la mente umana è evoluta per creare storie e per poter creare storie ci serve immaginare che tra questi due eventi, inseriti in una sequenza temporale, ci sia anche un nesso causale. Per questo assistiamo alla scena e “logicamente” pensiamo: “Marta è arrossita perché Luca le ha sorriso”. Questa è una narrazione, creata da noi, che contiene un nesso causale che noi abbiamo deciso di individuare. Non sappiamo veramente quali siano i nessi causali nel mondo, ed il punto è proprio questo: il mondo è ambiguo e caotico, e per questa ragione ci è necessario, in quanto esseri umani, proiettare nessi causali tra eventi conseguenti in modo da poter creare narrative complesse e soprattutto predittive nei confronti del futuro (e questa, in brevi termini, è la funzione evoluzionisticamente utile della predittività delle narrazioni).

La riflessione immediatamente successiva, che sicuramente ti starai facendo è: quanto sono potenti queste narrazioni? La risposta è sconcertante. L’effetto placebo, l’estremismo religioso, le allucinazioni da paranoia, sono tutti esempi della forza delle narrazioni nel guidare la percezione della realtà. A seconda della narrazione che scegliamo per dare ordine, senso e significato al mondo, il mondo ci sembrerà semplice o complesso, benigno o malvagio, caotico o ordinato (e così via); è stato ormai dimostrato ampiamente come, ad esempio, la nostra mente selezioni gli stimoli coerenti con la narrazione in atto, “oscurando” quelli non coerenti. Questo fa sì che la narrazione si rafforzi e autoconfermi con il passare del tempo, radicalizzando la nostra visione del mondo e degli altri. Questo è il motivo, ad esempio, perché ci sono persone tendenzialmente ottimiste e tendenzialmente pessimiste: vivono in due mondi diversi, ognuno creato dalla narrazione soggettiva della persona. Le conseguenze sono inimmaginabili: per un pessimista, che senso avrebbe inviare una candidatura di lavoro, se l’economia sta crollando e il mondo andrà sempre più a rotoli? Il pessimista agirà nel mondo in modo estremamente diverso dall’ottimista; nei grandi numeri, più difficilmente vedremo un pessimista avere una bella carriera ed un matrimonio felice. Per conoscere questo ed altri meccanismi mentali, vi consiglio i seguenti articoli sull’identificazione del nesso causale in termini di agentività nel mondo e sui bias cognitivi in generale.


Proviamo ad esplorare l’esempio precedente.

Luca sorride a Marta sul tram, lei arrossisce. Luca, come noi spettatori, è convinto del nesso causale A-B, ora però deve dotarlo di senso. La ragazza è arrossita per piacevole imbarazzo o per spiacevole disagio? Se Luca ha una narrativa di sé in cui lui è un ragazzo piacente e che ci sa fare, probabilmente interpreterà positivamente l’evento, guadagnando in orgoglio e riconfermando la propria narrazione positiva di sé. Se Luca invece fosse un ragazzo insicuro e si narrasse come poco piacevole ed impacciato, probabilmente interpreterà negativamente il rossore di Marta. Si sentirà a disagio, e la prossima volta ci penserà due volte, prima di sorridere a una ragazza. La sequenza temporale e causale degli eventi è assolutamente la stessa: a cambiare è solo la narrativa personale di Luca. Quale dei due Luca, statisticamente, avrà più chances di uscire con una ragazza, e di conseguenza di instaurare relazioni sentimentali significative?

Questo ovviamente è solo un esempio: ma qualcosa di simile, seppur in piccolo, accade ogni volta che qualcuno non ci risponde ad un messaggio, ad esempio, o ci manda un segnale ambiguo o in generale ogni volta che dobbiamo prendere una decisione: attingiamo alla nostra narrazione di noi stessi e del mondo per provare a prevedere le conseguenze della decisione.


Non smetteremo, per quanto alta possa essere la nostra consapevolezza, di creare narrazioni più o meno funzionali e predittive; ciononostante, la consapevolezza di come la mente funziona, di come crea narrazioni e di come le nostre narrazioni non siano la realtà, ma solo e semplicemente narrazioni può aprirci alla possibilità di riconoscerne i limiti e le fissità; con una buona consapevolezza possiamo relativizzare le nostre narrazioni, renderle più flessibili e più funzionali e sviluppare una buona potenzialità di cambiamento.

Queste dinamiche sono state ampiamente approfondite dalla psicologia costruttivista, che usa questa base come punto di partenza per migliorare il benessere dell’individuo: aprendo la narrazione alla possibilità di cambiare, la persona stessa si apre alla possibilità di cambiare.

All’interno della psicologia costruttivista, troviamo ad esempio l’approccio narrativo, particolarmente adatto ad esempio al metodo del Journaling ed alla forma tradizionale di psicoterapia come terapia “della parola”, tutt’ora modalità standard di trattamento e spesso integrata ad altre modalità più corporeo-esperienziali, come la terapia Mindfulness-based, l’EMDR o la Sensory-Motor.

Per chi fosse interessato a questi temi, vi consiglio di partire dal libro di Paul Watzlawick La realtà inventata.

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