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Immagine del redattoredott.ssa Sara Rizzi

Connettersi e amarsi, grazie alla meditazione Mettā (con esercizio)

“Mettā” è un termine in lingua Pali che identifica una delle fondamentali virtù buddiste: la benevolenza, o amorevole gentilezza. Con questo termine si indica oggi non solo la virtù, ma anche una grande categoria di esercizi meditativi volti appunto a sviluppare o ad accrescere questa caratteristica.

L’obiettivo delle meditazioni metta è quindi quello di far percepire alla persona delle sensazioni di benevolenza, pace, connessione anche solo per pochi minuti o per pochi secondi. Questo è il motivo per cui, solitamente, le meditazioni metta sono considerate estremamente gradevoli, a volte anche commoventi, dalla maggior parte dei praticanti.


La meditazione Mindfulness, come abbiamo visto, prende spunto dalla tradizione religioso-filosofica Theravada, e riconosce in alcune di queste virtù dei concetti estremamente potenti e funzionali non solo alla crescita personale ma allo sviluppo di una migliore qualità di vita in termini di benessere psicologico: tra queste Upekkha (equanimità), Khanti (tolleranza, accettazione), Dāna (generosità), Pañña (saggezza), e soprattutto, Mettā (benevolenza) (se non conosci la Mindfulness, leggi qui per una sintetica spiegazione).


Perché queste meditazioni sono così efficaci?

La meditazione Metta, nella pratica Mindfulness, ci stimola a provare sensazioni di piacevole benevolenza verso chi abbiamo attorno: familiari, colleghi, amici, nemici, persone con cui siamo in difficoltà, e soprattutto, verso noi stessi. Questa può essere considerata la grande arma di questa pratica: l’allenamento, piccolo ma costante, a volersi un po’ di bene, ad amarsi ed ad amare e accettare anche i propri difetti. Questo lo si ottiene attraverso il sentire” fisicamente questa benevolenza, calda e amorevole; sentirla a livello corporeo, nel petto o nella pancia, anche solo per pochi minuti, può fare la differenza per chi fa fatica ad amarsi o ad accettarsi, per chi vive “sconnesso” da sé e per chi convive quotidianamente con un “giudice interiore” ipertrofico e severo.


Come può un semplice esercizio meditativo essere veramente efficace?

Effettivamente, detta così, può sembrare molto improbabile. Eppure, non c’è nulla di magico nella pratica meditativa, ma tutto dipende da come funziona il nostro cervello, e nello specifico, nella sua capacità plastica (per un approfondimento su come la Mindfulness modifichi anche a lungo termine il nostro cervello, leggi qui). La plasticità neuronale è un fenomeno per il quale, ad ogni età della vita, qualsiasi attività decidiamo di praticare con una certa costanza ci permette di dedicare a quell’attività sempre più neuroni, sempre più ramificati e connessi tra loro, e con sinapsi sempre più potenti; per farla breve, se decido di imparare a giocare a tennis, a qualsiasi età avrò una curva di apprendimento tale per cui, da assoluto principiante a cui casca di mano la racchetta, potrò diventare un giocatore dilettante più o meno talentuoso. Motivazione, genetica ed esperienza pregressa faranno tantissimo, certo, ma il punto è che io posso imparare una nuova attività: questo grazie proprio alla plasticità neurale, che creerà dal primo giorno circuiti di neuroni e connessioni dedicati al tennis, e che nutrirà e svilupperà questi circuiti in reti sempre più fitte, organizzate, ed efficenti. Il mio cervello, dopo solo qualche mese di lezioni, sarà inevitabilmente e permanentemente modificato, a livello funzionale e strutturale. Questo è il motivo per cui il cervello di un giocatore di tennis, anche a livello amatoriale, non è uguale al cervello di un non-giocatore. La meditazione funziona allo stesso modo: un solo e semplice esercizio cambierà poco nel nostro sistema, ma una serie di esperienze simili crea un adattamento in termini di plasticità neuronale.


Neurologia della meditazione Metta

Pare ad esempio, che i praticanti a già 8 settimane di esperienza meditativa abbiano differenze significative ( rilevate con PET e rFMR) a livello di attivazione nella corteccia prefrontale destra, rispetto alla stessa corteccia dell’emisfero sinistro; questo aspetto è stato trovato anche in persone con tratti di personalità più ottimisti, mentre il contrario (ovvero iperattivazione a sinistra, nella corteccia del lobo prefrontale) è stato osservato in persone che avessero sperimentato nella loro vita almeno un episodio depressivo maggiore. Questo è coerente con le esperienze soggettive dei praticanti, che riportano spesso un umore migliore, più stabile ed una diminuzione dei pensieri autogiudicanti e catastrofici, dopo pochissimi mesi di pratica. Un altro aspetto significativo, è la regolazione ventro-vagale che gli esercizi di Mindfulness, ma soprattutto di meditazione Metta, permettono di sviluppare: il nostro nervo vago è una parte fondamentale del nostro sistema nervoso autonomo, e gioca un ruolo fondamentale sia nella percezione del pericolo, sia al contrario, nella percezione di sicurezza e connessione con gli altri. Una disregolazione del sistema vagale può portare a vissuti continuativi di ansia, di allerta, di pessimismo, nervosismo e stress che sembrano spesso non spiegabili dalle sole contingenze esterne; e per di più questa disregolazione tende ad automantenersi nel tempo, facilitando l’insorgere di disturbi del sonno, infiammazioni cutanee o del tratto gastro-esofageo e in generale ad un abbassamento generale della qualità della vita e delle relazioni con gli altri. Sperimentare al contrario sensazioni di sicurezza, pace, connessione e benevolenza segnala al nostro sistema nervoso autonomo che “va tutto bene”, che “siamo al sicuro”, e che “possiamo rilassarci” e ci permette di socializzare e creare legami interpersonali più facilmente e più intensamente con gli altri. Donarci la possibilità di “nutrire” i nostri Sistemi nervosi centrale ed autonomo con ciò che li fa stare bene e funzionare al meglio, anche solo sporadicamente e anche solo per qualche minuto, può fare veramente la differenza nella nostra qualità di vita.




[esercizio] Un esempio di meditazione Metta

Prova a sederti in modo comodo, eretto e ben dritto, e ovunque tu sia, di riportare l’attenzione su di te, mentre leggi questo esercizio. Leggi questo testo fino alla fine, e poi prova a rimetterlo in pratica, facendo sempre caso a sentire il “dentro” proprio come stai facendo adesso. Ciò che ti propongo di fare, è semplicemente di “stare”, senza fare nulla, per il tempo di qualche respiro. Quando avrai fatto tre o quattro respiri, potrai provare a pronunciare (ad alta voce, o mentalmente) le frasi che trovi in corsivo più in basso. Pronunciale senza alcuna aspettativa, semplicemente con la curiosità di vedere quale effetto ti possano fare (o non fare). Pronunciale lentamente, facendo sempre attenzione intanto al tuo interno e alle sensazioni che provi. Dopo averle pronunciate, torna a stare nuovamente sul tuo respiro per tre o quattro respirazioni, facendo caso a come stai. Ti consiglio di ripetere questo schema per tre volte (ma anche farlo per più tempo, se ti fa piacere) secondo la scaletta che trovi qui sotto; terminato l’esercizio, continua pure la lettura.


Istruzioni


1. Stare con il respiro e guardarsi dentro, per 3 o 4 respiri

2. Pronunciare le frasi in corsivo

3. Tornare al punto 1 e ripetere per altre due volte i punti 1 e 2

4. Torna sul respiro, guardandoti dentro, per 3 o 4 respiri.


In questo momento sto bene

In questo momento sono al sicuro

In questo momento sono in pace.


Con un esercizio molto semplice, come questo, possono esserci infinite esperienze soggettive. Potresti trovarti più a tuo agio, ad esempio, a iniziare con il provare benevolenza per qualcuno a cui tieni, a cui vuoi bene e a cui potresti augurare le frasi che trovi qui in basso. Puoi inserirle, se vuoi, nell’esercizio che hai appena fatto in sostituzione delle precedenti. Puoi dedicare queste frasi a chi vuoi, anche una persona essere lontana da te o addirittura deceduta; l’importante è l’affetto che puoi ancora provare.


Che tu possa essere in salute

Che tu possa sentirti al sicuro

Che tu possa essere in pace.


Sappi che, se ti fosse capitato di non provare niente o anche di provare una leggera noia o un leggero fastidio, non c’è per questo niente che non vada in te; forse qualche blocco, o un po’ di reticenza, forse la presenza di aspettative ... in ogni caso, nulla di sbagliato, anzi. Puoi darti il permesso di riprovare quando vuoi, o di trovare altre modalità, come tracce audio da seguire o percorsi di gruppo in cui condividere i tuoi vissuti e le tue difficoltà.

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